Coppia grandi gouaches napoletane

Coppia grandi gouaches napoletane

9.500,00 €

Coppia di eccezionali tempere napoletane, anche dette gouaches, entro cornici in legno di palissandro originali, raffiguranti vedute della città di Napoli, databili intorno al 1820/30.

La prima veduta mostra un raro panorama con tutta la città presa dalla collina di Capodimonte, precisamente dal Casino del marchese Blanch di Campolattaro a Mujariello (Moiariello)

La seconda veduta presa dalla Chiesa del Carmine mostra il lungomare, il golfo nella sua interezza fino in fondo a sinistra con Castel dell’Ovo.

Dimensioni cm 40×60 ca escluse le cornici.

Stato di conservazione ottimo, commisurato all’epoca.

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Il guazzo, noto anche nella forma francese gouache, è un tipo di colore a tempera reso più pesante e opaco con l’aggiunta di un pigmento bianco (per esempio biacca o gesso) mescolato con la gomma arabica (un tempo era preferita la gomma adragante). Il risultato è appunto un colore più coprente e più luminoso rispetto al normale colore a tempera.
Il termine può anche indicare sia la tecnica di pittura che i dipinti eseguiti con questo tipo di colore.

Guazzo deriva dal latino volgare *aquatia, astratto di aquātus oppure da aquātio, -onis “provvisto di acqua”, incrociatosi forse con guado (dal latino vadum, incrociato con il franco *wad).

Si diffuse in Francia nel XVIII secolo, anche se di origine più antica essendo già in uso nell’Europa del XVI secolo, ed era utilizzato soprattutto per i bozzetti preparatori dei lavori a olio. Il guazzo infatti, visto ad una certa distanza, somiglia alla pittura a olio e asciugandosi prende un tono perlaceo per il bianco che contiene. Nel XIX secolo si diffuse maggiormente per via dell’impiego nella produzione dei cartelloni pubblicitari.

Con il guazzo è difficile trovare la giusta tonalità perché, quando si asciuga, i colori subiscono variazioni sensibili (in genere le sfumature scure tendono a diventare più chiare e quelle chiare a scurirsi); le difficoltà si accentuano ulteriormente se il lavoro viene eseguito in più riprese. Un altro problema è il rischio della microfessurazione se il pigmento viene steso in strati troppo spessi; l’inconveniente può essere alleviato usando mezzi di ispessimento come l’acquapasto. Può risultare invece molto efficace se applicato alla carta colorata, come per esempio nelle opere di William Turner.

Casino del marchese Blanch di Campolattaro al Moiariello

Tra ‘700 e ‘800, nel decennio napoleonico e durante la seconda restaurazione borbonica si consolida a Napoli un’idea della villa affacciata sul panorama come vera e propria alternativa all’abitazione in città, aspirazione delle classi colte o di nuovi ceti borghesi. Sul versante occidentale del bosco di Capodimonte si concentravano le ville di maggiore interesse per dimensione e bellezza dei giardini, come villa Colonna, villa Forquet e le sontuose villa Ruffo e villa Gallo. Su quello orientale, al Moiariello, si distinguevano invece la villa La Riccia, villa Richiello, Villa De Rossi (oggi Anna), le Antiche Case Cotugno, il Casaccio (villa Casazza), villa De Marsilio e più avanti, lungo via Ponti Rossi, villa Colletta e villa Falcon, fino alla villa Macedonio (poi Dupont) e alla romantica villa Ascoli (oggi Walpole).

Luogo di delizia, al civico 45 della odierna via Morisani in Napoli, in posizione di dominio panoramico sul ciglio del pendio orientale del colle Miradois, orientato a sud/sud- est, verso il golfo e le emergenze del Vesuvio e di San Martino, la Villa è appartenuta nel 700 alla famiglia Blanch, trapiantata in Napoli dalla Spagna, nobile dal 1656 con diploma di Filippo IV d’Asburgo, stemma araldico d’azzurro a nove stelle d’oro disposte 3, 3 e 3 e cappella gentilizia nella Chiesa di San Domenico Maggiore. Ceduta con atto del 10 marzo 1817 a Giosuè Richiello, venne poi venduta il 2 giugno 1849 dagli eredi di questi a Giuseppe Famiglietti i cui discendenti ne sono stati proprietari fino al secolo scorso.

Il poggio di Miradois si trova al centro del triangolo che unisce tre poli monumentali di grande interesse come il Museo Archeologico Nazionale, l’Albergo dei Poveri in piazza Carlo III e la Reggia-Pinacoteca di Capodimonte. Dall’alto dei suoi 156 metri, con la Specola dell’Osservatorio Astronomico fondato da Murat nel 1809, e le ville del marchese La Riccia e del marchese Blanch di Campolattaro, entrambe già presenti nella Mappa Topografica (1750-1775) di Giovanni Carafa, duca di Noja, il colle dominava il centro antico di Napoli offrendo una vista da nord che era proposta ai visitatori della città nei secoli scorsi. “ La principal veduta è di osservar Napoli in alto mare, donde l’intiera città vi si presenta come un immenso anfiteatro. La seconda è di guardarla da S. Martino, dove si vede sotto gli occhi minutamente quasi tutta la città, ed il delizioso contorno del golfo. La terza è di veder Napoli dalla reale Specola, o dal palazzo della Riccia: questo luogo per estensione della sua veduta è detto con nome spagnuolo Miratodos. La quarta è di contemplarla da’ reali giardini di Portici, e più dalla villa del duca di Gravina, ch’è ad essi superiore “ (da G.M. Galanti, Napoli e Contorni, Ed. Borel 1829 , pag 3.)