Il “Monte della Giustizia” a Roma Dessoulavy 1849

Il “Monte della Giustizia” a Roma Dessoulavy 1849

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Raffinato dipinto ad olio su tela raffigurante il cosiddetto “Monte della Giustizia” all’interno di Villa Montalto Peretti la quale sorgeva nell’area tra l’odierna Stazione Termini, Santa Maria Maggiore e Porta San Lorenzo. Sulla sinistra la monumentale statua di Roma, sullo sfondo la chiesa di Santa Croce in Gerusalemme e dietro i monti Tiburtini.

Firmato in basso a destra T. Dessoulavy Rome 1849.

Cornice in legno ebanizzato della seconda metà del XIX secolo.

Dimensioni cm 28.5 x 23.5 la sola tela – cm 50 x 43,5 con cornice.

Stato di conservazione eccellente commisurato all’epoca.

Prima tela, restauri nella parte in basso al centro.

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Thomas Dessoulavy (Londra 1801 – Roma 28/10/1869).

Thomas Dessoulavy nasce a Londra nel 1801, molto giovane si trasferisce a Roma dove inizialmente soggiorna presso il noto acquerellista svizzero Franz Kaiserman. Nel 1824  è citato tra i “pittori paesisti” nell’Elenco redatto dallo scultore svizzero Heinrich Keller. Nelle sue vedute ritrae non solo paesaggi laziali ma anche delle aree campane, infatti aveva soggiornato a Napoli già alla fine degli anni Venti.
Dessoulavy, che parlava correttamente l’italiano e per questo era sovente richiesto come cicerone per i visitatori britannici, all’inizio degli anni Trenta è uno dei pittori più affermati della cerchia artistica britannica a Roma: nel 1839 prende parte per la prima volta all’annuale esposizione della Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti di Roma, nel 1846 invece, invia alla Royal Academy di Londra una Veduta del Palazzo dei Cesari, l’anno successivo espone un Paesaggio nella stessa sede, mentre nel 1848 presenta il dipinto Porta San Giovanni a Roma. Nonostante i frequenti viaggi in Inghilterra a fini principalmente lavorativi avvenuti principalmente tra la metà degli anni Quaranta e Cinquanta, Roma rimane il luogo prescelto come stabile residenza fino al 1869, anno della sua morte.
Lo stile di Dessoulavy si inserisce all’interno di quel filone del paesaggismo italiano che aveva rielaborato i maestri veneti con toni marcatamente pittoreschi. Attraverso pennellate stese a piccoli tocchi l’artista riproduce minuziosamente i fogliami, l’erba e le figure poste in primo piano; una maggiore stilizzazione delle forme caratterizza invece gli elementi sullo sfondo. Grande attenzione viene inoltre rivolta alla trasposizione topografica, elemento questo caratterizzante l’intero corpus pittorico dell’artista.

Villa Montalto Peretti

Quando era ancora cardinale, Felice Peretti si era fatto costruire una bellissima villa, per estensione la più vasta che Roma abbia mai conosciuto, dall’architetto  Domenico Fontana.
La villa sovrastava le Terme di Diocleziano e sorgeva proprio nella zona di S. Maria Maggiore sull’Esquilino.
Nell’area, dove si trova attualmente anche la stazione Termini,  sorgeva quindi questa cinquecentesca villa rinascimentale, la più grande costruita dentro le mura aureliane e una delle più sontuose. 

La villa del cardinale Felice Peretti, poi diventato papa col nome di Sisto V, aveva una impressionante estensione ben documentata già dai cartografi seicenteschi le cui planimetrie consentono di fissarne i confini tra le attuali via Marsala, via del Viminale/via De Nicola, via Depretis/via Liberiana/via Carlo Alberto.

La villa conteneva due residenze, il Palazzo Sistino o “di Termini” (delle Terme) e il casino, chiamato Palazzetto Montalto e Felice
Era un luogo incantevole, ammirato dai viaggiatori stranieri che venivano a fare in Grand Tour in Italia.

Prima della sua completa sparizione, la villa cambiò più volte proprietari: dopo l’estinzione del ramo principale dei Montalto Peretti essa passò ai Savelli (dal 1655 al 1685), quindi ai Negroni (dal 1685 al 1784), in seguito a Giuseppe Staderini (dal 1785 al 1796) e infine ai Massimo.
E per volontà del padre gesuita Massimiliano Massimo fu costruita, proprio nell’area occupata dalla villa, il palazzo Massimo tra il 1883 e il 1887, dall’ architetto Camillo Pistrucci.

“L’altra estremità dello stesso viale termina in salita al punto più alto di Roma sopra l’Aggere di Servio Tullo, dove Sisto V. aveva intenzione di fabbricare un terzo palazzo, come ci fa sapere il suo architetto Fontana nel libro delle opere fatte da lui per quel Pontefice, ove trattando di questa Villa dice a pag. 37.: Vi si fabbricano continuamente (oltre a compartimenti) di molte habitationi, case, palazzi, e logge per commodità et adornamento del luogo, et al presente sopra un colle quasi nel mezzo di detta Vigna, che è il più alto luogo, che sia dentro la Città di Roma, si disegna fare un palazzo bellissimo, dal quale si scoprirà tutta la Città, e la campagna d’intorno intorno.
Ma questo progetto non essendo stato messo in esecuzione per la morte del Pontefice, vi rimase solo la memoria della predilezione, che egli aveva per quel luogo, vedendovisi ancora al giorno d’oggi lì vicino un sedile di pietra, chiamato il Canapè di Sisto V., perché egli vi si riposava per contemplare la magnifica vista di tutta la Villa, e della Campagna intorno a Roma colla sua corona di montagne, che da quel punto si gode. Rimanendo poi vuota dopo la sua morte la sommità di quel monte, dove egli aveva divisato di fabbricare il detto palazzo, e dove era opinione, come si rileva dalla pianta di Roma del Bufalini, che una volta s’innalzasse la famosa torre di Mecenate, il Card. Alessandro Montalto pronipote di Sisto vi fece formare una piazza rotonda di verdura, del diametro di cento palmi, a cui si ascende per sette scalini, circondata da spalliere di busso, e da alti cipressi, nel centro della quale, ov’è il punto più alto di Roma, egli collocò in prospettiva del viale e del palazzo Peretti, sopra un alto piedestallo, una statua colossale della stessa Roma sedente, che Flaminio Vacca ci fa sapere nelle sue interessanti memorie essere stata trovata a Monte Cavallo sotto terra, vicino al luogo dove da Sisto V. furono collocati i due cavalli giganteschi, avanti al Palazzo Pontificio. Questa statua, la quale, per quanto io sappia, era fin’ora inedita, e si trova rappresentata nell’annessa Tav. VI.

È vestita di corazza a squame colla testa di Medusa in petto, ed elmo sul capo ; seduta sopra una sedia ornata di trofei, ed emblemi militari , colla destra alzata doveva tenere una lancia , e con la sinistra il globo sormontato da una vittoria, ma questi due emblemi mancandole l’hanno fatto prendere dal volgo per una figura della Giustizia, da cui ha preso la denominazione quel monte. La sua altezza totale dalla cima dell’elmo fino a terra è di 3o. palmi, compreso il piedestallo alto palmi 14. co suoi basamenti e cornici, il di cui dado che ha sei palmi di largo per ogni lato , e cinque di alto porta scolpita di rilievo sulla facciata d’avanti l’arme del Card. Alessandro Montalto, il quale eresse sì bel monumento, uno dei pochi che siano rimasti in questa Villa, dopo che fu spogliata di tutte le sue statue ed ornamenti dagli antichi suoi possessori. Essa s’innalza sulla cima del monte in mezzo ad un circolo di 2 1. alberi di pini e cipressi.” Tratto da: Notizie Istoriche della Villa Massimo alle Terme Diocleziane, Vittorio Massimo, 1836 Roma.

L’agger serviano e il Monte della Giustizia.

L’aggere è un argine, un terrapieno difensivo ottenuto ammassando del terreno a sostegno di un muro o di una fortificazione.

La zona all’interno dell’agger, alta e ben fornita d’acqua, divenne nei secoli pienamente agricola; nei terreni sottostanti si individuava, già nel XVI secolo, il luogo degli Horti Maecenatis e in particolare della torre da dove Nerone avrebbe contemplato l’incendio di Roma del 64 d.C.. Se la localizzazione della torre – e la sua stessa esistenza – sono fortemente incerte, è certo invece che i 73 metri del muro serviano e relativo terrapieno (impinguato, nei secoli, da rovine degli edifici e acquedotti antichi) erano considerati il luogo più alto di Roma, e perciò denominati “monte”[.

L’agger serviano e il monte della Giustizia durante lo sbancamento del 1862; sul cucuzzolo la statua, ancora in situ.

Nel 1576 Il “cardinal Montalto” (come veniva chiamato il futuro Sisto V Peretti dal suo paese di nascita) aveva fatto acquistare dalla sorella Camilla Peretti (che fu sempre il suo agente immobiliare e mantenne la proprietà di questi terreni e della villa fino alla morte nel 1605) una vigna Guglielmini tra l’Esquilino e il Viminale. L’estensione della proprietà venne raddoppiata con successivi acquisti del 1581 (che costarono al cardinal Montalto l’assegno destinato ai cardinali poveri toltogli da parte di un indignato, e ricco di famiglia,Gregorio XIII), e gli acquisti continuarono anche dopo l’elezione al pontificato, finché la vigna di papa Sisto, con i suoi 65 ettari tra le Terme di Diocleziano e la Porta San Lorenzo, divenne la più vasta proprietà agricola intramurale di Roma.

Inoltre, approfittando del fatto che la fabbrica del monastero dei Certosini e della loro basilica nelle Terme di Diocleziano dava luogo a grandi demolizioni, papa Sisto continuò l’opera, “aprendovi davanti[alle Terme] una gran piazza e tirando per fianco una lunga e larga strada insino a Porta S Lorenzo. Per aprire e spianare questa piazza furon demoliti molti avanzi delle Terme che oltre ad ingombrarla minacciavano rovina, ovvero che furono rappresentati a Sisto V come tali da coloro che dirigevano i lavori eseguiti sotto al suo Pontificato, e che […] terminarono di distruggerli e si servirono di tutti quei materiali e calcinacci per riempire e spianare la strada che dalla Subura viene al portone Viminale della Villa Massimo, la via de’ Strozzi, la strada del Macao, diversi viali interni della medesima Villa [Peretti], ed altri luoghi, come si rileva dai conti della spesa fatta in questa occasione, i quali si conservano nell’Archivio segreto Vaticano.”[.

Dal terrapieno erano emerse occasionalmente, nei secoli, costruzioni, murature, iscrizioni e cippi relativi agli acquedotti e varie antichità, dei quali raramente ci si prese la briga di tenere memoria fino a quando la decisione pontificia di spostare la stazione ferroviaria di Roma dal Trastevere – dove era stata inizialmente costruita – alla città alta, non suggerì la demolizione dell’intero aggere e di tutto quel che vi si trovava sotto. Di quei lavori, benché condotti “alla garibaldina”, e con crescente urgenza dopo la presa di Roma, restano tracce in relazioni contemporanee, dove si dà conto della scoperta di ambienti pertinenti a edifici di II secolo a ridosso delle mura. Completata la demolizione dell’agger, tutto ciò che non era stato spianato (o monumentalizzato come il breve tratto di mura serviane ancora visibile), fu reinterrato sotto il piazzale della Stazione di Termini. Dopo qualche decennio però, dovendosi ancora ampliare la stazione ferroviaria e realizzare la stazione della metropolitana a piazza dei Cinquecento nel 1947-49, si riaprirono gli scavi del quartiere adrianeo e altri materiali vennero rinvenuti e rimossi, mentre le strutture murarie furono definitivamente demolite. Gli ambienti della domus con balneum privato salvati sono parzialmente ricostruiti a Palazzo Massimo, nella sezione espositiva “Complesso imperiale di Roma Termini”.