Il Tempio di Minerva Medica

Il Tempio di Minerva Medica

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Raffinato dipinto ad olio su tavola raffigurante una veduta con il cosiddetto tempio di Minerva Medica a Roma, entro cornice in legno dorato e stucchi impero.

Attribuibile a Carlo Labruzzi (1748-1817) Vedasi una dipinto di una coppia venduto da Christies http://www.christies.com/LotFinder/lot_details.aspx?intObjectID=5366654

Dimensioni cm 45 x 56 con cornice, cm 27 x 38 dipinto.

Stato di conservazione: ottimo commisurato all’epoca, restauri.

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Il cosiddetto tempio di Minerva Medica è un edificio romano situato in via Giolitti, nel rione Esquilino di Roma. L’imponente costruzione a cupola, ben visibile dai treni che entrano o escono dalla stazione Termini, risale presumibilmente all’inizio del IV secolo e si trova oggi stretta tra i binari ferroviari ed i palazzi costruiti alla fine del XIX secolo per il nuovo quartiere Esquilino.L’edificio non è un tempio, come fu erroneamente creduto per lungo tempo, ma una sala monumentale entro il recinto d’una lussuosa residenza extraurbana che occupava in antico la zona, tra la chiesa di Santa Bibiana e Porta Maggiore, sull’asse viario che usciva dalla Porta Esquilina, corrispondente probabilmente al complesso degli Horti Liciniani[1].Fino alla metà del XVI secolo l’edificio fu fantasiosamente ritenuto intitolato ai filii adoptivi di Augusto, Caio e Lucio Cesari (Basilica, thermae Gai et Luci) o ad Ercole Callaico (Terme Gallice), da cui deriva la corruzione popolare del toponimo in “Le Galluzze”, “Galluccie” o “Galluce” attestato nella cartografia storica e nei trattati di erudizione. Secondo Rodolfo Lanciani, la confusione che fece identificare il padiglione come “tempio” risale al XVII secolo, quando si attribuì a questi scavi una statua di Minerva con ai piedi un serpente (animale sacro ad Esculapio), trovata in realtà in Campo Marzio (ora ai Musei Vaticani)[3]. In verità la denominazione è anteriore, utilizzata già nel XVI secolo da Pirro Ligorio, che studiò l’edificio e ne disegnò la pianta[4] indicandovi i luoghi di ritrovamento di statue e colonne. Ragione dell’equivoco potrebbe essere stata un’interpretazione delle fonti che indicavano un tempio di Minerva nell’area o il rinvenimento di un ricco corredo votivo nei pressi della vicina via Labicana. La costruzione, a pianta centrale decagonale, era probabilmente un ninfeo, sebbene sia stata ventilata l’ipotesi di uno spazio a carattere termale, considerato il vasto ipocausto rinvenuto sotto una parte dell’aula principale[6], oppure di una sala triclinare. Il padiglione doveva probabilmente far parte di un più articolato complesso edilizio, forse di proprietà imperiale, con funzione di rappresentanza e di svago (specus aestivus).A partire dal V secolo, in conseguenza del completo spopolamento della zona dell’Esquilino, esso rimase in stato di abbandono come isolata ed incongrua presenza monumentale nella campagna.Nel corso del Rinascimento, poiché la sua struttura si presentava in buone condizioni di conservazione, il monumento fu oggetto d’interesse da parte di diversi architetti (Giuliano da Sangallo, Baldassarre Peruzzi[7], Sallustio Peruzzi[8] e Palladio), che lo disegnarono indicandolo come modello per alcuni progetti fiorentini, in particolare quelli della rotonda della basilica della Santissima Annunziata e della Rotonda di Santa Maria degli Angeli di Filippo Brunelleschi. Pare che il Brunelleschi avesse studiato l’edificio durante i suoi viaggi a Roma proprio per escogitare il modo di costruire la cupola di Santa Maria del Fiore.Jean-Baptiste Pillement, olio su tela (1765-1767), Muzeum Narodowe, Varsavia Nel corso del XVI secolo vi furono ritrovamenti di statue e reperti d’interesse artistico nei dintorni dell’edificio. Vasi metallici, medaglie e frammenti di statue furono rinvenuti in una vigna[9] alle spalle del monumento, che si presentava parzialmente interrato e fu scavato per la prima volta sotto il pontificato di Giulio III (1550-1555) dal medico Cosmo Giacomelli. Alcuni reperti trovati in vari punti degli horti furono donati al papa per adornare Villa Giulia.Nel 1828, dopo un periodo in cui il rudere – nonostante l’interesse di studiosi e artisti – ebbe continuato ad essere vittima di spoliazione di materiali, crollò buona parte della sommità della cupola. L’anno seguente un fulmine arrecò alla struttura ulteriori danni e l’edificio restò a lungo in abbandono con un peggioramento delle condizioni generali.Tra il 1878 ed il 1879, durante i tumultuosi lavori di urbanizzazione che cambiarono drasticamente l’aspetto di tutto l’Esquilino, furono rinvenute alcune statue e pregevoli elementi di decorazione architettonica.Oggi l’edificio, nonostante i parziali restauri del 1942 e del 1967, si presenta in condizioni piuttosto precarie e attende, dopo l’ampia campagna di saggi e studi del 2006, un intervento complessivo di consolidamento e valorizzazione.