Cecilia Metella - F. Kaisermann

Cecilia Metella - F. Kaisermann

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Delineato originale colorato a mano all’acquarello, entro cornice impiallacciata in radica ed ottone coeva, raffigurante il Mausoleo di Cecilia Metella sulla Via Appia a Roma.

Autore: Franz Kaisermann (1765-1833)

Stato di conservazione: ottimo, commisurato all’epoca.

Misure: cm 30×40 ca

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Il mausoleo di Cecilia Metella e il Castrum Caetani costituiscono un continuum archeologico, che sorge a Roma, poco prima del III miglio della Via Appia Antica, subito dopo il complesso costituito dal circo, dalla villa, e dal sepolcro del figlio dell’imperatore Massenzio, Valerio Romolo.

La collocazione del mausoleo di Cecilia Metella veniva così descritta, nel 1855:

« Fuori dell’attuale porta di san Sebastiano, distante quasi un miglio dall’antica Capena , ai lati della via Appia sono orti e vigne.
Quindi percorse quasi due miglia incominciano deserti latifondi dell’agro romano, e sono i seguenti:
Capo di Bove,
Statuario, volgarmente Roma Vecchia;
Statuario, o sia Santa Maria Nuova;
Casal Rotondo;
Barbuta,
Selcia,
Fiorano,
Palombara.
La prima tenuta esistente sulla via Appia ai confini delle vigne è Capo di Bove. Così fu denominata dai bucrani detti volgarmente Capi di Bove , che servono di ornamento al sepolcro di Cecilia Metella ivi esistente.
Veggonsi similmente nella medesima gli avanzi di un circo denominato un tempo volgarmente di Caracalla, ed ora di Romulo figlio di Massenzio. »

Di Cecilia Metella non si hanno notizie personali, salvo che era figlia di Quinto Cecilio Metello Cretico, e moglie di un Crasso che si presume essere il figlio di una Venulei e di quel Marco Licinio Crasso (forse il questore di Cesare Marco) che nel 71 a.C. aveva soffocato la rivolta degli schiavi capeggiata da Spartaco e nel 60 a.C. aveva costituito il primo triumvirato con Cesare e Pompeo. La costruzione del mausoleo, come mostrano le scene di guerra che accompagnano l’epigrafe, era finalizzata a celebrare l’importanza della famiglia assai più che della dedicataria, e viene datata alla seconda metà del I secolo a.C. Il monumento originario era costituito dall’edificio circolare che ancora si erge, installato su un fondamento quadrangolare di opera cementizia. Il tamburo che conteneva la camera funeraria, del diametro di circa 30 metri e alto 39 metri con la merlatura, era interamente rivestito di blocchi di travertino, terminava presumibilmente in una piccola cupola – non più esistente ma ancora testimoniata da un anello di blocchi di travertino, e dall’indicazione monumentum peczutum – cioè monumento “appuntito” – con cui veniva descritto nell’XI secolo. In alto, al di sopra della tabula col titulus, correva un fregio di festoni floreali alternati a bucrani, dai quali nacque il toponimo di Capo di bove, che identificò la località a partire dal Medioevo. La stessa merlatura, poi rifatta più alta nel medioevo, era già presente nella struttura in travertino e ricordava gli antichi tumuli col perimetro segnato dai cippi. Alla camera sepolcrale – oggi di nuovo visitabile – si accede da un dromos nel basamento stesso; essa occupa l’intera altezza dell’edificio. L’arredo è andato completamente disperso, come era inevitabile per un luogo così a lungo frequentato: di un sarcofago trasferito a Palazzo Farnese si disse che era quello di Cecilia Metella, ma il Nibby lo attribuiva più plausibilmente ad Annia Regilla, moglie di Erode Attico, il quale nel secolo successivo aveva acquisito vasti possedimenti in quella zona. Non è univoca la scelta della fonte di ispirazione per un monumento funebre circolare come il mausoleo di Cecilia Metella: secondo alcuni studiosi i mausolei ellenistici, secondo altri le tholos etrusche. In ogni caso è interessante appurare il clima di restaurazione antiquaria che esisteva nella Roma del tardo I secolo a.C., tanto che si contano diversi esempi di architetture simili oltre i confini di Roma (a Sepino, Falerii, Gubbio, Pompei, Sarsina,ecc.) per tutta l’epoca giulio-claudia. In seguito il tamburo acquistò forme architettoniche sempre più complesse, fino alla sintesi coi mausolei a naiskos (tempietto) e a guglia, come nel mausoleo di Augusto (28 a.C.), quelli di Munazio Planco e Sempronio Atratino a Gaeta, quelli dei Plauzi Silvani, dei Servilii, dei Lucilii, ecc.


Franz Kaisermann (Yverdon 27.II.1765 – Roma 3.I.1833)

Franz Kaisermann, noto anche con il nome francese di François Keiserman, nacque a Yverdon in Svizzera nel 1765. Dopo un tirocinio come pittore di paesaggio si trasferì a Roma nel 1789: qui divenne apprendista del famoso acquerellista svizzero Abraham Louis Roldophe Ducros (1748-1810). A Pasqua del 1792 lo troviamo ancora a Roma, ma nel periodo immediatamente successivo deve aver lasciato la città per un lungo soggiorno a Napoli di cui si ignorano le date esatte. A Napoli conobbe sicuramente anche Jakob Philipp Hackert (1737-1807), già residente a Roma e dal 1786 pittore di corte di Ferdinando IV. Al più tardi nel 1798 il Kaisermann fu di nuovo a Roma e prese casa al numero 31 della scalinata di Piazza di Spagna. Intorno al 1803 conobbe il giovane Bartolomeo Pinelli (1781-1835) con il quale iniziò una proficua collaborazione; mentre Kaisermann si dedicò ai paesaggi, Pinelli eseguiva le figure. All’incirca nel 1809 il Pinelli lasciò lo studio del Kaisermann il quale già nel 1806 aveva chiamato dalla Svizzera il cugino Jean-François Knébel  come disegnatore di figure; questi però morì nel 1822 e fu sostituito da un altro membro della famiglia Knébel, Charles-François (1810-1877) che divenne figlio adottivo di Kaisermann. Il grande talento pittorico di Kaisermann come paesaggista di acquerelli, insieme con un non trascurabile intuito economico, ne sancirono ben presto il successo. Tra i clienti del pittore furono nobili come il principe Camillo Borghese, il principe di Sachsen-Gotha, il principe Gustavo di Svezia e il principe russo Volkonskij; le sue opere raffigurando per esempio le cascate di Tivoli, i paesaggi dei Colli Albani, le antichità di Roma ma anche i templi di Paestum furono lodate e descritte nei giornali d’arte dell’epoca. Kaisermann morì nel 1833, lasciando i suoi beni al figlio adottivo Charles-François Knébel. E’ sepolto al Cimitero Acattolico presso alla Piramide Cestia a Roma.