L'assedio di Messina del 1848

L'assedio di Messina del 1848

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Dipinto ad olio su tela entro cornice coeva in legno dorato e stucchi, raffigurante il rarissimo soggetto storico del bombardamento ed assedio della città di Messina da parte dell’esercito Borbonico conclusosi nel Settembre 1848 durante la rivoluzione Siciliana di quell’anno.

Dimensioni cm 50 x 70 circa.

Ottimo stato di conservazione commisurato all’epoca, leggere cadute di colore, prima tela, difetti lievi agli stucchi della cornice.

Non firmato, attribuibile a Salvatore Fergola (1799-1874), scuola napoletana della meta del XIX secolo, 1850/60. (Nel Museo Nazionale di San Martino a Napoli è conservato un dipinto del Fergola raffigurante il medesimo avvenimento preso dalla parte opposta ossia dall’entroterra vedere ultima foto)

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Sul retro reca un’etichetta sulla quale è scritto a penna il nome Alfred Von Wattenwyl (Berna 1835-1876) il quale risulta essere stato un Ufficiale del 4º Reggimento Svizzero dell’esercito Borbonico e probabilmente prese parte agli eventi. Anche un altro membro della stessa famiglia Albrecht Von Wattenwyl (Berna 1836-1872) era un Ufficiale del 4º Reggimento Svizzero dell’Esercito Borbonico, facente parte del Battaglione Cacciatori.

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Il Real Esercito disponeva di 4 Reggimenti Svizzeri creati tra il 1825 ed il 1830 in seguito alla ricostituzione di un esercito nazionale e alle Capitolazioni contratte tra il governo borbonico, rappresentato dal principe Paolo Ruffo di Castelcicala, e i cantoni della Confederazione Elvetica. In particolare il 1º Reggimento era reclutato nei cantoni di Lucerna, Unterwalden, Obwalden, Uri e Appenzello; il 2º reggimento era dei cantoni di Friburgo e Soletta; il 3º Reggimento era dei cantoni Vallese, Svitto e Grigioni ed il 4º Reggimento del cantone di Berna. Era presente anche una batteria d’artiglieria svizzera.

Ciascun reggimento in conformità con i regolamenti borbonici si componeva di uno Stato Maggiore di 20 ufficiali, uno Stato Minore di 17 soldati e di due battaglioni, ognuno composto da 24 ufficiali e 684 soldati suddivisi in 4 compagnie fucilieri e 2 compagnie scelte, una di Granatieri e l’altra di Cacciatori. Le reclute svizzere accettavano l’ingaggio nell’Esercito delle Due Sicilie volontariamente per una ferma di 4 anni, alla fine dei quali potevano rinnovare per altri 2 o 4 anni di ferma, oppure congedarsi definitivamente.

I soldati che avevano raggiunto i limiti di età, ma ancora abili al servizio militare e intenzionati a proseguire nella loro professione, potevano entrare a far parte di speciali compagnie dette dei “Veterani Svizzeri”. Il compenso degli svizzeri era stabilito dalle capitolazioni col governo elvetico e generalmente era superiore a quello dei militari nazionali del Real Esercito. L’armamento, il munizionamento e l’addestramento invece erano uguali a quelli degli altri Reggimenti di Linea nazionali. La lingua ufficiale dei reggimenti svizzeri era il tedesco, e la giustizia era esercitata autonomamente da ogni Reggimento secondo i codici elvetici. I Reggimenti inoltre erano dotati sia di cappellani protestanti che cattolici.

I reggimenti Svizzeri si distinguevano tra 1°, 2°, 3° e 4° in base ai numeri sui bottoni delle uniformi e al colore delle mostrine che erano celesti per il 1º Reggimento, verdi per il 2°, blu per il 3° e nere per il 4°. Le grandi uniformi dei Reggimenti Svizzeri erano rosse. I musicanti di ogni Reggimento al contrario portavano l’uniforme dello stesso colore della mostrina del Reggimento e le mostrine del colore del Corpo di appartenenza. Le bandiere dei Reggimenti Svizzeri erano contraddistinte dall’avere su un verso lo stemma del Regno delle Due Sicilie, e al rovescio la croce bianca in campo rosso, simbolo della Confederazione Elvetica, con le armi dei cantoni dai quali il Reggimento aveva origine.

L’ASSEDIO E LA BATTAGLIA DI MESSINA DEL GENNAIO/SETTEMBRE 1848

La subitanea insurrezione del 1848 aveva liberato dal dominio borbonico, molto odiato nell’isola, quasi tutta la Sicilia. Tuttavia, l’esercito napoletano aveva avuto cura di conservare il dominio della Cittadella di Messina, che era di grandi dimensioni, potentemente fortificata e per la sua collocazione atta a costituire un’autentica testa di ponte per la riconquista della Sicilia. La Cittadella contava circa 300 cannoni ed una forte guarnigione, al sicuro dietro le mura ed i fossati.

Il cosiddetto assedio di Messina durò dal gennaio al settembre del 1848 e vide nel corso di questi nove mesi di lotta sette distinti grandi fasi di bombardamenti dell’artiglieria borbonica sulla città, oltre a violente battaglie di fanteria. Si possono distinguere quattro principali fasi di lotta.

La prima fase: 29 Gennaio/21 Febbraio.

Seconda fase: 22 Febbraio/20 Aprile.

Terza fase: 17 Aprile/24 Agosto.

Quarta fase: 25 Agosto/7 Settembre.

Ferdinando II aveva provveduto a schiacciare durante l’estate la rivolta della Calabria ed era ora pronto ad invadere la Sicilia per risottometterla al suo dominio. I preparativi della spedizione iniziavano già a fine Agosto. Il suo comandante designato era il principe di Satriano, il tenente generale Carlo Filangieri, figlio di Gaetano Filangieri (il celebre autore della Scienza della legislazione), veterano dell’esercito napoleonico (era stato colonnello di Gioacchino Murat) e senz’altro il migliore fra tutti i generali borbonici.

Il corpo di spedizione comprendeva 18.000 uomini di fanteria, 1500 del personale di marina imbarcato sulle navi, più i 5000 uomini di guarnigione nella Cittadella, per un totale di 24.500 uomini impegnati contro Messina, con 450 cannoni complessivi. Facevano parte di questa armata i migliori reparti di tutto l’esercito borbonico, ossia i mercenari svizzeri. La superiorità di forze era schiacciante da parte borbonica, poiché gli insorti potevano contare attorno ai 6000 uomini.

Piero Pieri, il miglior storico militare italiano, riporta in proposito i seguenti calcoli nella sua “Storia militare del Risorgimento”: “Due battaglioni di « camiciotti », 1000 uomini complessivi, 400 artiglieri, 300 zappatori del genio e 200 guardie municipali; e inoltre 500 marinai cannonieri addetti alle batterie fra Messina e il Faro, i quali non presero parte alla lotta. In totale le formazioni che potremmo chiamare regolari assommavano a 2500 uomini, di cui 2000 nei punti attaccati.

A queste bisognava aggiungere 2500 uomini delle squadre; 500 uomini di Guardia Nazionale e 500 altri uomini degli equipaggi delle scialuppe e inoltre 2000 elementi delle squadre dislocati lungo la costa da Galati a Forza d’Agrò al sud di Messina, e da Torre Faro a Milazzo. Nell’insieme dunque Messina disponeva di 6000 uomini armati alla meglio, addestrati in modo inuguale e senza una vero capo, contro 25 000 soldati rappresentanti la parte migliore dell’esercito borbonico e con un capo, veterano delle guerre napoleoniche, d’innegabile valore ed energia.” Fra le 6000 unità siciliane, soltanto 5000 erano munite di fucili. Il divario era grande anche nelle artiglierie, 112 per gli insorti, 450 per i borbonici.

Nonostante l’enorme sproporzione di uomini e mezzi, nell’ordine di 4 contro 1 a favore dei napoletani, la battaglia finale dell’assedio di Messina fu eccezionalmente accanita. Il primo attacco delle truppe regie, svoltosi il 3 settembre, incontrò una resistenza estremamente energica dei siciliani e costrinse la spedizione del Filangieri a ripiegare dopo aver perso molte centinaia di uomini. L’artiglieria della Cittadella però prendeva a bombardare la città con un’intensità prima sconosciuta e continuò a farlo anche nei giorni seguenti, incendiando o riducendo in macerie interi quartieri. Il bombardamento proseguiva anche nei giorni seguenti, mentre il generale Filangieri preparava un altro attacco.

L’operazione consisteva in uno sbarco a sud di Messina, preceduto ed accompagnato da un intenso bombardamento della squadra navale. Le truppe siciliane cercavano d’impedire al nemico, di molto superiore di numero e mezzi, concentrando la propria difesa presso i villaggi di Contessa, poi di Gazzi, poi di borgo san Clemente, da dove venivano scacciato soltanto dopo molte ore di battaglia ed in seguito a combattimenti svoltisi casa per casa. I due villaggi di Contessa e di Gazzi e Borgo san Clemente finivano praticamente distrutti dall’esercito borbonico: le case scampate al bombardamento venivano incendiate dai soldati tramite bombe incendiarie al fosforo, mentre i civili erano fucilati sul posto. Dopo aver perso queste tre linee di resistenza, i siciliani prendevano posizione dietro la fiumara Zaera, che era rafforzata da improvvisati trinceramenti che si appoggiavano ad edifici robusti. I napoletani attaccavano nuovamente usando l’artiglieria a propria disposizione per schiacciare gli insorti, tirando dalla Cittadella, dal mare con la flotta e con le artiglierie mobili. L’attacco borbonico procedeva ora da due direzione: dalla Cittadella verso il piano di Terranova e dalla testa di ponte dello sbarco in direzione della fiumara Zaera. L’offensiva però sostanzialmente si arenava davanti alla tenacissima difesa opposta dai siciliani e le truppe regie giungevano a ripiegare in preda al panico ed al disordine, al punto che si parlava di reimbarcarsi e fuggire. Il Filangieri, vedendo i suoi reparti così demoralizzati e pronti alla fuga, ordinava alla flotta d’allontanarsi, per togliere alla truppa ogni idea di possibile ritirata. Il comandante borbonico era comunque assai preoccupato e trascorreva la notte insonne vegliando in mezzo ai suoi uomini. Frattanto, a Messina la popolazione era ancora decisa a battersi e si trovavano anche religiosi e donne che incitavano gli uomini al combattimento. Buona parte della città però era stata arsa o distrutta dall’incessante bombardamento, che aveva ucciso o costretto alla fuga moltissimi degli abitanti.

La mattina seguente del 7 settembre riprendeva l’offensiva borbonica, con lo stesso modus operandi del giorno precedente: massicci bombardamenti d’artiglieria; incendi appiccati ad ogni edificio mediante bombe incendiarie al fosforo adoperate dai soldati; azioni di fanteria che procedevano a rastrellare il terreno uccidendo chiunque trovassero. L’azione difensiva dei siciliani era disperata, ma il continuo affluire di truppe nemiche, diverse volte superiori di numero, determinava la caduta ad uno ad uno di tutti i capisaldi, che erano comunque difesi sino alla fine. Il combattimento proseguì con scontri corpo a corpo che si svolsero casa per casa, finché l’ultimo importante punto di difesa degli insorti, il convento della Maddalena, fu accerchiato e distrutto. I “camiciotti” superstiti che lo difendevano preferirono suicidarsi che cadere vivi nelle mani dei napoletani.

Anche la caduta del monastero della Maddalena non segnò la fine della durissima battaglia, poiché gli insorti si difesero ancora nel quartiere retrostante, dove i mercenari svizzeri procedettero incendiando sistematicamente tutti gli edifici. Presa o per meglio dire distrutta via Cardines, i reparti borbonici che avanzavano dal mezzogiorno, ossia dalla testa di ponte, si congiungevano con quelli che provenivano dalla Cittadella. A questo punto, nella sera del 7 settembre, la battaglia poteva dirsi praticamente finita. Il Filangieri però non osava far addentrare le sue truppe nell’insieme di vicoli che allora componevano il centro storico di Messina: malgrado le forze regolari siciliane fosse state sterminate o costrette alla fuga e nonostante ormai gli insorti non avessero più artiglieria, il bombardamento dei borbonici continuò sulla città indifesa per altre sette ore. Frattanto i militari dell’esercito napoletani si davano al saccheggio ed alle fucilazioni.

La sconfitta degli insorti a Messina segnò praticamente le sorti della rivolta siciliana del 1848, con esiti politici di grande portata. È impossibile calcolare il numero di morti avutosi nel corso della durissima battaglia, durata per nove mesi e conclusasi con una serie di combattimenti d’eccezionale violenza. Si tenga conto comunque nello stimare un loro calcolo approssimativo dei seguenti fatti:

 – a detta della stessa relazione ufficiale dello stato maggiore borbonico, Messina al termine dalla battaglia appariva come un vulcano in fiamme, interamente avvolta da fumo, al punto che pareva bruciare completamente, con interi suoi quartieri distrutti. Messina contava prima della battaglia 60.000 abitanti.

 – i generali borbonici avevano dato ordine di non fare prigionieri e le truppe agirono in tal senso, uccidendo chiunque trovassero nei luoghi di combattimento, inclusi vecchi, feriti e malati, donne e bambini. La loro avanzata fu accompagnata dall’incendio sistematico delle abitazioni mediante composti al fosforo. Fu incendiato persino l’ospedale di Collereale e furono uccisi i degenti che non fecero in tempo a fuggire.

– l’assedio durò nove mesi e vide almeno sette grandi bombardamenti sulla città da parte dei borbonici.