Ramo in corallo base argento Napoli

Ramo in corallo base argento Napoli

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Grande ramo in corallo rosso montato sulla sua base coeva in argento sbalzato e cesellato a mano a forma di vaso biansato; ancora con le micro conchiglie originali applicate alla base del corallo.

Manifattura napoletana, bollo del titolo “testa di partenope N8”; bollo dell’argentiere parzialmente illeggibile probabilmente Gabriele Sisino attivo intorno al 1830 a Napoli.

Epoca 1830/40

Dimensioni cm 40 x 30 ca.

Stato di conservazione ottimo

Esaurito
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CORALLO (lat. corallium; fr. corail; sp. coral; ted. Koralle; ingl. coral). – Il corallo nobile o anche corallo rosso (Corallium rubrum L.) ha l’aspetto di un arboscello alto al massimo 30-35 cm., ma di solito 15-20, con una larghezza, dovuta al prolungarsi obliquamente dei varî rami, di non più di 25-30 cm., di solito molto meno. Il tronco al massimo raggiunge 2-3 cm. di diametro, ma più spesso non va oltre 1-2 cm. Il suo colore è rosso più o meno vivo; spesso è vermiglione, ma può essere anche rosso carminio, e rosso-sangue, o, più di rado, può avere tinte più leggiere, sino al rosa carnicino, al rosa pallido, al bianco. Sovente un medesimo “arboscello” o cormo può presentare nei suoi rami tinte diverse, e uno stesso ramo rosso, p. es., può essere talora screziato di bianco. Banchi di corallo si trovano in tutto il Mediterraneo, i giacimenti sono però soltanto conosciuti nella indicata località presso Sciacca. Ricca di banchi è la Sardegna, la quale presenta ad est i banchi della Maddalena, dell’isola dei Monaci, di Capo Figari, dell’isola Tavolara, di Capo Carbonara, tutti segnati sulle carte, e ad ovest i banchi dell’isola di S. Pietro. Pochi veri banchi, e di piccola entità, si trovano lungo le coste della Sicilia, e fra questi meritano di essere ricordati quelli dell’isola di Levanzo presso Trapani. Lungo le coste della penisola vi sono banchi nel versante ligure e tirrenico, da Imperia sino a Reggio Calabria, come ve n’ha presso l’isola d’Elba e in generale nell’Arcipelago toscano, ma ad eccezione di un considerevole numero di piccoli banchi del golfo di Napoli (il più importante dei quali è il banco del Pampano) e d’un banco esistente presso l’isola dei Galli nel golfo di Salerno. Quanto ai giacimenti di Sciacca, segnati regolarmente sulle carte, e che si trovano al sud della costa siciliana alla profondità di 150-200 metri circa, essi sono in numero di tre, scoperti per puro caso, l’uno nel 1875, da un pescatore che con gli ami dei suoi “palangresi” trasse dal fondo del mare inaspettatamente bellissimi rami di corallo; l’altro nel 1878, scoperto in modo analogo, e l’ultimo infine nel 1880 scoperto anche per caso da una barca corallina che, avendo smarrito la strada e perduto di vista la flottiglia di pesca, si mise a pescare in località nuova. La pesca del corallo è stata da tempo immemorabile esercitata da piccoli galleggianti a vela (bilancelle) valendosi come ordegno del cosiddetto ingegno. Si tratta di due sbarre di legno, disposte a croce, alle estremità di ciascuna delle quali vengono assicurate delle vecchie reti o delle retazze. Nel punto dove le due sbarre s’incrociano viene legata una grossa pietra, che ha lo scopo di fare immergere e affondare nelle acque l’apparecchio. Dal punto ove è legata la pietra parte una solida corda che viene avvolta ad un argano. Nell’atto di pescare, l’ingegno viene mollato nel luogo in prossimità di una murata o pettata dove si ha ragione di credere che la corrente spinga l’apparecchio verso la murata stessa. Esso quindi viene successivamente salpato senza farlo emergere, e di nuovo mollato, e ciò per più volte successive, affinché le reti possano “afferrare” sui rami dei varî cormi tappezzanti la roccia e strapparli da essa portandoseli via immagliati. Ad un dato momento l’apparecchio viene tratto sulla barca e, dopo liberato, si torna a immergerlo per una successiva pescata. Sui giacimenti di Sciacca la pesca riesce assai più agevole, perché non essendovi murate, la manovra è assai meno faticosa e presto si riesce, anche con semplici vecchie reti trascinate sul fondo, a raccogliere una considerevole quantità di corallo. Lavorazione del corallo. – Mancanza di dati e di specifiche notizie impedisce di determinare, sia pure con approssimazione sufficiente, in quale età e presso quali popoli mediterranei venisse iniziata la lavorazione del corallo come elemento di ornamentazione estetica. Presso i Greci non si hanno accenni a quella lavorazione prima dell’epoca alessandrina; ma gli scavi etruschi, romani e campani hanno fornito dati sufficienti, per quanto rari, all’accertamento della lavorazione e dell’uso del corallo come materia d’arte nella vita degli antichi popoli italiani. Un pezzo di corallo fu rinvenuto negli scavi di Felsina (Bologna); altri, più importanti (elementi di due collane con al centro pezzi di scultura a tutto rilievo, anch’essi in materia corallina), furon rinvenuti ad Arna; altri, di età preromana, si conservano nel museo civico di Este; altri ancora provengono dalla regione campana; uno fu trovato a Roma, lavorato ad uso di sigillo con incavo profondo e di fattura eletta. È lecito supporre che la lavorazione del corallo sia continuata, forse ininterrotta, nei posteriori secoli in Italia; ma par certo che nel ‘600 essa assumesse una maggiore intensità, soprattutto in opere di decorazione mista. A Leningrado, nel museo dell’Hermitage, si conservano caratteristici lavori italiani del ‘600, in bronzo e corallo, con o senza inserzioni di smalto, ed altri ancora erano nella raccolta del barone Stieglitz, tra i quali due ritratti a bassorilievo di Luigi XIII e del cardinale Richelieu. Anche del ‘600 è un paliotto in seta con applicazioni di rame sbalzato e di corallo, opera di grande effetto decorativo che si conserva nel museo nazionale di Palermo, con una ricca collezione di oggetti d’arte sacra lavorati nella stessa materia; ed altre testimonianze dell’antica lavorazione del corallo a Trapani si trovano nel museo civico di quella città, come elementi di collane e incisioni a rilievo figurato e oggetti d’arte sacra. Dalla regione italiana la lavorazione del corallo si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo e nei paesi d’Oriente. In Turchia, oltre che per ornamenti della persona il corallo fu adoperato con larghezza come materia artistica di oggetti d’uso; ma l’India e la Cina furon sempre regioni ove il corallo lavorato ebbe la diffusione massima nei più varî aspetti dell’arte applicata ad oggetti d’uso personale e casalingo. La lavorazione del corallo, praticata scarsamente e con poco frutto in Francia e in Spagna, ha sempre avuto e continua ad avere in Italia le sue sedi di attività maggiore, e soprattutto a Torre del Greco (Napoli) e a Trapani, per tradizione più volte secolare. Sono tornate di moda in questi ultimi anni le applicazioni del corallo lavorato nei gioielli – associato con pietre preziose – e in opere decorative; mentre nelle officine che sussistono tuttora, le fatiche degl’intagliatori continuano a esplicarsi soprattutto in lavori per fermagli e per collane. La lavorazione procede da un’opera di dirozzamento con lima e sega a doppio taglio, seguito dal lavorio del trapano ad archetto temperato ad olio, e infine dalla pulitura con pasta acquosa di smeriglio, dapprima di grana grossa, poi successivamente ridotto a polvere impalpabile, su girevoli dischi di vetro orizzontali. I successivi procedimenti sono connessi alle forme che il corallo deve assumere nelle diverse fogge di ornamentazione. Frequenti sono dappertutto le falsificazioni del corallo, a mezzo di marmo in polvere trattato con colla di pesce e vermiglio di Cina.